IL SOPRANNATURALE IN SAN DOMENICO DI GUZMAN
CHI ERA SAN DOMENICO
San Domenico di Guzman (1170-1221) fu il fondatore dei Frati Predicatori. Prima di fondare il nuovo ordine religioso era un canonico regolare agostiniano nella cattedrale di Osma, una delle più antiche sedi vescovili della Spagna. Fin da giovane studente manifestò un grande amore per i poveri tanto che durante una carestia fondò un ospizio per i bisognosi e per aiutarli vendette persino i suoi libri. Il momento di svolta della sua vita si verificò quando il suo superiore, il vescovo di Osma, Diego di Azevedo, fu incaricato di una missione papale contro le dottrine eretiche degli albigesi. Per affrontare le eresie, egli portò con sé Domenico che subito si rese conto dei gravi pericoli che stava correndo la Chiesa della sua epoca. Domenico iniziò subito pubbliche discussioni con gli eretici e le sue parole furono così efficaci che riuscì persino ad aprire a Prouille un convento per accogliere le monache convertite dall’eresia albigese. In questo fatto Domenico intravide il suo futuro ordine dei Frati Predicatori che dovevano riportare alla sana fede cattolica chi si era smarrito. Tolosa fu la prima sede dei suoi frati che avevano l’impegno della predicazione per difendere la fede cattolica dalle eresie, di una vita povera, dello studio e della preghiera. Le comunità dell’ordine in breve tempo si moltiplicarono ed i domenicani divennero insegnanti assai stimati nelle più prestigiose università europee come Parigi ed Oxford. Lo stesso Domenico fondò varie comunità tra le quali quella di Bologna dove morì il 6 agosto 1221. Egli, da vero mistico, era un uomo di poche parole ed indicò nel silenzio uno dei segni distintivi dei suoi frati ai quali affidò il programma: “parlare con Dio e parlare di Dio”.
L’ORDALIA DEL FUOCO
I predicatori pontifici, con Domenico, arrivarono a Montréal, all’inizio di aprile del 1207, dove venne organizzata, su proposta dei catari, la disputa generale, che aveva una durata di quindici giorni, nella quale si sarebbe fatto ricorso all’ordalia del fuoco. La disputa generale era un vero e proprio avvenimento cittadino nel quale si sarebbe svolto un pubblico dibattito fra esponenti cattolici e, in egual numero, rappresentanti degli eretici, alla presenza di un giudice e del popolo. Per tali dispute venivano scelti quelli che erano i migliori rappresentanti delle due parti. Da parte dei catari, a capeggiare la disputa, venne scelto il diacono Arnaldo Ottone, che era sostenuto dagli eretici Guilberto di Castres, Benedetto di Termes e Ponzio Giordano. Arnaldo Ottone attaccò subito con una esposizione contro la Chiesa cattolica definendola non santa e non sposa di Cristo, anzi al contrario era la sposa di Satana. Di conseguenza anche la sua disciplina non era né buona né santa. Da parte cattolica, a sostenere la disputa c’era il vescovo Diego, che per l’occasione era rientrato da Osma, sostenuto da Domenico, da Pietro di Castelnau e da Maestro Raoul. Il vescovo Diego, intervenne nella disputa affermando che il problema non concerneva tanto sull’autorità della Chiesa romana o di quella catara, quanto sugli errori per i quali la Chiesa romana condannava i catari a riguardo dell’unicità di Dio, della missione del Cristo e della Croce nel piano redentivo, della natura del peccato, dell’anima, della salvezza. In questa occasione, durante la disputa, a Domenico venne una idea: se gli eretici avessero avuto la possibilità di verificare in privato e con animo sereno le ragioni dei cattolici, sarebbero stati agevolmente convinti, in forza delle stesse ragioni, dalla verità. Per questo, perché il dibattito fosse più efficace si era stabilito che la disputa avvenisse per scritto. Furono redatti i testi e gli argomenti di cui si sarebbero serviti nella pubblica discussione, dopo la quale si sarebbe proceduto nuovamente a stendere lo schema delle risposte e degli argomenti proposti. Questi scritti sarebbero stati poi consegnati ai giudici, scelti dalle due parti: due cavalieri, Bernardo di Villeneuve e Bernardo d’Arzens, e due borghesi, Raimondo Got e Arnaldo Rivière, affinché potessero pronunciare la loro sentenza. Domenico aveva ricevuto l’incarico di redigere il documento scritto con le tesi finali dei cattolici. Per questo, riportò per iscritto le ragioni dei cattolici e diede le carte ad un eretico, in modo che le potesse leggere con calma, e chiarisse per bene ogni suo dubbio. La sera stessa, questo eretico, si riunì con un piccolo gruppo di suoi compagni, e mentre discutevano davanti al fuoco, presentò agli altri le carte avute da Domenico. Una volta lette, poiché restavano fermi sulle loro posizioni, presero la decisione finale, scelta che si rivelò non solo temeraria, ma anche piuttosto sciocca, proposero di gettare le carte di Domenico nel fuoco: se esse contenevano cose vere, sarebbero state conservate da Dio; se invece, quelle carte, contenevano affermazioni false, il fuoco le avrebbe distrutte. Con questo gesto tentavano Dio per avere una conferma mediante un miracolo, su quello che essi non capivano, o si rifiutavano di capire. Ma l’amore di Dio è grande, e nonostante non meritassero quella pietà, volle concedere una risposta evidente. Le carte di Domenico furono gettate nel fuoco, tra le fiamme, ma non solo non furono bruciate, ma ne uscirono fuori completamente intatte e inalterate. Nella confusione che ne seguì, vi fu uno tra gli eretici così perfido, che chiese nuovamente la prova del fuoco; e dopo questa ne pretese anche una terza: e tutte le volte l’esito fu sempre il medesimo, identico al primo. Nonostante il ripetersi dell’evento prodigioso la loro malvagità non fu vinta, e sebbene fossero rimasti alquanto meravigliati per l’accaduto, non ci fu alcuna conversione. Ma il peggio fu che questo evento prodigioso incontrò l’ostinazione degli eretici, che per malvagità congiurarono insieme di custodire nel segreto quello che era accaduto in un perpetuo e rigorosissimo silenzio. Il segreto però non fu mantenuto, infatti, tra i presenti c’era un ufficiale che, tornato alla fede cattolica, diede gloria a Dio, e narrò a molti il fatto del quale era stato testimone e che aveva potuto osservare con i propri occhi. Anche se i capi degli eretici non mutarono affatto il loro atteggiamento, centocinquanta persone abbandonarono l’eresia. Di questo episodio ne parlò anche Domenico, seppure fosse solito nascondere per umiltà qualunque cosa potesse sembrare una lode nei suoi confronti, ma, quando lo raccontò lo fece a gloria di Dio.
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