Padre Benedetto Nardella da san Marco in Lamis
Primo direttore spirituale di padre Pio sottotitolo
del prof. Francesco Guarino
Non sappiamo come sarebbe stata la vita di padre Pio senza i due direttori spirituali, ma sappiamo, fonti alla mano, che ebbero un ruolo importante nel cammino alla santità del frate sannita. Il primo di essi, in ordine cronologico, fu padre Benedetto Nardella da San Marco in Lamis (FG) (1872-1942), piccola cittadina sul Gargano a pochi chilometri da San Giovanni Rotondo, di cui evidenzierò i tratti salienti del suo rapporto con padre Pio. Il secondo fu padre Agostino Daniele, sempre nativo di San Marco in Lamis, di cui parlerò nel prossimo numero. Entrambi meritano di essere ricordati per aver guidato verso la santità il frate più ammirato del secolo Novecento.
L’INCONTRO TRA IL MAESTRO E IL DISCEPOLO
Nell’ottobre del 1905, il giovane fra Pio entrò nel convento di San Marco La Catola per iniziare gli studi ginnasiali e filosofici, qui incontrò per la prima volta il provinciale (1909-1919) dei cappuccini della provincia di Foggia sotto il nome dell’arcangelo Michele, padre Benedetto Nardella, al secolo Gerardo, da San Marco in Lamis e lo scelse come suo confessore fino al 1922. A lui fra Pio confidava tutto: dalle misteriose malattie, che accettava in silenzio e con gratitudine per volontà dal Signore, alle sofferenze che considerava “tempeste” che l’Altissimo gli mandava come una “speciale permissione” che sarebbero cessate solo dopo l’intervento del Signore. Sempre a padre Benedetto padre Pio, nel novembre del 1910, confidò di volersi offrire “vittima per i poveri peccatori e per le anime purganti”. Durante il settennio a Pietrelcina, padre Benedetto disapprovava la permanenza del giovane frate in famiglia, cioè fuori dal convento, e benché si fosse persuaso che la malattia sfuggisse alle categorie umane, provò più volte a riportarlo in convento. Ma ogni volta che padre Pio metteva piede in convento, il suo stato di salute peggiorava irrimediabilmente, e padre Benedetto era costretto a rimandarlo a casa a Pietrelcina nella speranza di una guarigione. E quando il demonio lo vessava e lui desiderava piuttosto morire, padre Benedetto lo rincuorava come un padre col figlio, affinché abbandonasse il pensiero di morire e tornasse a vivere sotto la protezione di san Francesco. Fu padre Benedetto in una lettera a indicare la missione del giovane frate come “vocazione a corredimere”. E quando ebbe il dono prima della transverberazione e poi della stimmatizzazione, padre Pio si rifugiò sotto ali paterne e protettive del suo padre confessore. Padre Benedetto ebbe modo di osservare le stimmate e, in proposito scrisse: “In lui (padre Pio) non sono macchie o impronte, ma vere piaghe perforanti le mani e i piedi. Io poi gli osservai quella del costato un vero squarcio che dà continuamente o sangue o sanguigno”. I due furono separati definitivamente nel 1922 per volontà del Santo Ufficio, in seguito alla visita apostolica di Carlo Raffaello Rossi (attualmente è in corso la causa di canonizzazione) padre Benedetto fu trasferito nel Convento di San Severo in provincia di Foggia dove morì senza mai più vedere il suo “Piuccio”, padre Pio, invece, rimase nel convento di San Giovanni Rotondo fino alla morte nel 1968.
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