IL GARBUGLIO DI PIAZZA SAN PIETRO - WOJTYLA VITTIMA DI TRE CONGIURE

Nei mesi che precedettero l’attentato a Giovanni Paolo II del 13 maggio 1981, i Lupi Grigi, il gruppo politico-mafioso dominante in Turchia, chiamavano ironicamente Mehmet Ali Ağca, il killer incaricato per il delitto, “Santos”. Come mai? Qualcuno dell’Occidente cattolico, diceva uno dei Capi, Oral Çelik, gli aveva dato l’incarico “santo” di uccidere il papa. E lui, Mehmet Ali, musulmano, si era sentito investito della missione “divina” quale nuovo “Messia” degli ultimi tempi.  

Ho conosciuto molto bene Ağca, il feritore del papa, avendo raccolto le sue memorie durante i molti mesi trascorsi con lui nel parlatorio del supercarcere di Ancona dove terminò gli anni di prigione dopo la condanna all’ergastolo. Nel mio libro “Il Garbuglio di Piazza San Pietro – Wojtyla vittima di tre congiure”, sbozzo un ritratto del killer in tutta la sua complessità, sfinge vivente, ma anche maestro della tecnica della menzogna, insegnatagli nei campi di addestramento del Medio Oriente. Inevitabile quindi iniziare la storia dell’attentato al papa da lui, un attentato ancor più complesso di quanti ne siano avvenuti nella storia. Il papa stesso, durante una cena privata, ne parlò come di un “garbuglio molto grosso”. E infatti negli ultimi quarant’anni tre inchieste giudiziarie e due processi non lo hanno dipanato. Il mio libro però infine sbroglia la matassa, e ciò in virtù della mia instancabile attività di giornalista investigativa. 

 

UNA PIAZZA AFFOLLATA

Nessuno lo aveva immaginato, ma Piazza San Pietro, quel 13 maggio 1981, ricorrenza della prima delle apparizioni della Vergine a Fatima, fu affollatissima di assassini e complici arrivati per sostenere il titubante Ali. 

Nella Piazza ci furono Turchi armati, da uno dei quali partì un terzo colpo diretto al papa; mafiosi siciliani incaricati di eliminare il killer, com’è regola negli attentati ai Capi di Stato. E ci furono i Bulgari, per provvedere a un’eventuale sua fuga; e preti ribelli… “Santos” però era fortemente combattuto nell’animo così che, alla fine, sparando a distanza ravvicinata, mirò basso affinché il papa avesse scampo e sopravvivesse.

Terrorismo islamista, trafficanti di armi e droga, fanatici cattolici avevano formato una ben strana compagnia. I mafiosi erano danneggiati nei loro interessi illeciti dalla politica di Wojtyla; i fanatici dell’Islam si opponevano a un papa novello “Crociato”, mentre i fondamentalisti cattolici erano ostili alle riforme cosiddette moderniste della Chiesa postconciliare. Inoltre, all’interno dei Palazzi apostolici, esisteva una gerarchia ecclesiastica di corrotti per un verso, e di ferrei propugnatori di un Chiesa tradizionalista dall’altro. Le forze diversissime tra loro avevano tenuto riunioni segrete in Turchia, Bulgaria, Svizzera e in Italia, soprattutto a Roma, delle quali nel libro parlo diffusamente. Sconvolgente quella tenutasi nottetempo nella parrocchia di Santa Maria del Carmelo in Traspontina, in via della Conciliazione, proprio alla vigilia dell’attentato. I Padri Carmelitani, che concessero una sala a un Cardinale, ne ignorarono la natura, il fine e il nome dei partecipanti. Ho parlato con alcuni Padri. Solo uno di loro, padre Daniele Pennesi, dopo l’attentato deve aver avuto dei sospetti e in un nostro incontro del 3 marzo 2010, angosciato, mi disse durante il nostro incontro del 3 marzo 2010: “Mi devo togliere dalla testa quella riunione segreta”. Io non gli avevo parlato di “riunione segreta”. La verità dunque gli era sfuggita di bocca. Nella telefonata del 25 marzo, insistendo io con le domande, mi rispose sbrigativo: “Non voglio più parlare di quest’argomento. Mi abbatte moralmente. Mi lasci nella mia tranquillità”.

In una delle ultime lettere dal carcere Ağca mi supplicò di fargli avere un “colloquio finale” col papa per rivelargli tutta la verità. Il papa non lo ricevette, ma si mosse affinché il Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, gli concedesse la Grazia, cosa che avvenne il 13 giugno del 2000. 

Il corso degli eventi poi regolò i conti con tutti coloro che avevano tramato contro il Papa. E la vicenda poté dirsi conclusa quando, il 9 maggio 1993, Giovanni Paolo II tenne il magnifico discorso a braccio ad Agrigento, nella Valle dei Templi. Condannava in maniera vibrante la Mafia, anzi, tutte le Mafie: “… Che sia concordia in questa vostra terra! Concordia senza morti, senza assassinati, senza paure, senza minacce, senza vittime! Che sia concordia!...”.

ARTICOLO PUBBLICATO SU IL SEGNO DEL SOPRANNATURALE di settembre 2021

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